Improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello – Trib. di Firenze, sez. III civile
Improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello – Trib. di Firenze, sez. III civile
Nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella L. 98/13, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, deve intendersi – interpretando detta norma in modo coerente con il sistema processuale – nel senso di improcedibilità dell’appello (e non come improcedibilità della originaria domanda sostanziale attorea); con la conseguenza che la sentenza di primo grado passa in giudicato.
La vicenda processuale
Proposta opposizione a decreto ingiuntivo, veniva proposto appello avverso la pronuncia di primo grado che aveva rilevato la tardiva iscrizione a ruolo della causa di opposizione, dichiarando (con ordinanza, avente valore sostanziale di sentenza) l’improcedibilità della stessa.
Nel giudizio d’appello, il giudice disponeva l’invio delle parti in mediazione a norma dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010.
Il procedimento di mediazione, però, non veniva avviato (in considerazione – alla luce di quanto cialis sans ordonnance nella specie sostenuto dai difensori delle parti – del modesto valore della lite e dell’esito negativo dei numerosi tentativi di transazione intercorsi direttamente tra le stesse).
Prima questione
Pertanto, si pone innanzitutto la questione di comprendere quale sia la conseguenza del mancato esperimento della mediazione demandata nel giudizio di appello.
Il Giudice illustra al riguardo che trova applicazione il disposto di cui all’art. 5, II co. D.Lgs. n. 28/2010 e ss.mm.ii.
In particolare, alla luce della normativa speciale sulla mediazione:
l’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, anche in fase di appello (sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni);
ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. D.Lgs. citato).
Pertanto, anche nel procedimento d’appello, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice comporta l’improcedibilità della domanda giudiziale.
Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Seconda questione
Ciò posto, si pone l’ulteriore questione di verificare quale sia l’oggetto della sanzione di improcedibilità in appello (la originaria domanda giudiziale attorea ovvero l’appello) e con quali conseguenze pratiche: in concreto, la sanzione processuale in questione riguarda direttamente la domanda sostanziale, azionata dall’attore in primo grado, ovvero l’impugnazione proposta?
Con la pronuncia in commento si afferma che l’improcedibilità colpisce l’impugnazione, con la conseguenza pratica, in armonia con i principi del processo d’appello, che il mancato esperimento della mediazione delegata in secondo grado comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni:
la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice è una “forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice”;
nel giudizio d’appello non vale la regola secondo cui la parte che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito; infatti:
l’estinzione del giudizio di appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata (art. 338 c.p.c.);
la tardiva costituzione in giudizio dell’appellante è sanzionata con l’improcedibilità dell’appello (art. 348, I co. c.p.c.), con la conseguenza che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato (salvo l’esperimento del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello);
lo stesso vale per la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, se proposta dopo la scadenza dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.;
la ratio di tale disciplina risiede in ciò:
parte appellante si avvale dei rimedi previsti dall’Ordinamento per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la riforma;
è quindi posto a carico all’appellante l’onere di proporre e coltivare ritualmente il procedimento di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso e gli incombenti necessari (in difetto, l’impugnazione è viziata in rito e la sentenza impugnata passa in giudicato);
argomentando diversamente (individuando quindi l’oggetto dell’improcedibilità nell’originaria domanda sostanziale proposta), si avrebbero dei risultati “abnormi” che, spiega il Giudice, sovvertirebbero i principi generali del processo:
se appellante è l’originario attore in primo grado: in caso di omesso esperimento della mediazione, si porrebbe “nel nulla una sentenza sfavorevole allo stesso appellante (originario attore) per una omissione imputabile al medesimo” (il tutto, illustra la pronuncia in commento, “con l’innegabile vantaggio di poter riproporre la medesima domanda sostanziale in nuovo giudizio di primo grado, con, di fatto, “riapertura” dei termini decadenziali assertivi e probatori e conseguimento di nuove ed ulteriori chanches di ottenere una pronuncia di merito favorevole”);
se appellante è il convenuto in primo grado: “si porrebbe a carico dell’appellato l’onere di contribuire a far giungere il processo di impugnazione al suo esito fisiologico, e cioè alla rivalutazione della decisione di prime cure, attività rispetto alla quale il medesimo non ha certo interesse” (venendo così a configurare una singolare “improcedibilità postuma”, “che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario idoneo al giudicato sostanziale, la sentenza di primo grado, già definitivamente emessa, ancorché sub judice”).
Pertanto, la pronuncia in commento conclude come segue: “nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella L. 98/13, e così come nella affine materia del giudizio di primo grado nella opposizione a decreto ingiuntivo, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, non può che intendersi nel senso di improcedibilità dell’appello, ovvero dell’opposizione a D.I.”, con le indicate conseguenze di legge.
Ciò considerato, il Giudice dichiara nella specie l’improcedibilità dell’appello, con le indicate conseguenze di legge.
(fonte: altalex.com)